«Adunque Carboneria e Giovine Italia, figlie di giacobini e illuminati, mettono pretesto al congiurare l'unità d'Italia; dico "pretesto", perché le loro costituzioni, sin da' primi massoni e per dipendenze con la Giovine Europa, dichiarano voler la libertà e l'uguaglianza de' primi uomini, il che non è unire ma dissolvere. Se Italia potesse essere una, già sarebbela da migliaia d'anni; ma nol fu mai, non con gli etrusci, né co' romani, che tennerla serva. I barbari che affogarono questi popoli nel sangue ben potean farla una, come fecero una Francia e una Spagna; il tentarono i goti senza effetto; e anco i longobardi s'ebbero a dividere. Carlo Magno volevalo, ma la sua potenza s'arrestò sul Volturno, ed ebbe a far pace con Arechi longobardo beneventano, che raffermò l'autonomia di queste contrade che fanno il reame; perlocché, acconciato il pensiero alla natura, Carlo riconobbe il dominio papale, e miselo in mezzo all'alta e bassa Italia. Noi tredici secoli restammo gli stessi; solo mutando i principi nei re, e scacciando i bizantini. L'Italia superiore ebbe mutazioni e tagliuzzamenti infiniti. Ora quello che non fecero etrusci, romani, goti, longobardi e Carlo Magno, in tempi più opportuni e ne' principii delle nazioni, e con forze prepossenti, dicon di farlo le sette segrete, dopo tanti secoli, sconfessando la storia, la natura e gl'interessi del paese.
Speciosa idea è l'Italia una, idea da muovere i giovani; 'ché certo far la patria grande, potente e rispettata, saria onesta e bella impresa. E dove ella potesse esser unita sarebbe fortissima, per l'indole de' suoi abitanti fervidi e ingegnosi, per sue naturali ricchezze, per lo stare in mezzo al mare, fra Asia, Africa ed Europa, e per la coscienza dell'antica e moderna grandezza; ma questi beni che fanla invidiata a agognata, essi appunto sono che le vietarono, e sempre le vieteranno, d'essere uno stato solo. L'indole altera degl'italiani li fa di spiriti municipali, perché ciascuno si sente grande, vuole il primato, e sdegna dipendenza; la forma della penisola lunga e sottile, dove ogni parte basta a sé, né ha mestieri d'altri, fa ciascuna regione paga del suo e indifferente del vicino; e le molte secolari autonomie surte, cresciute e compiute, rendono l'Italia per questo maravigliosa nella sua divisione. Ciascuna parte ha vita e storia sua, costumanze, dialetto, passioni, bisogni e interessi distinti, monumenti, nomi, ricordi, rinomanze speciali; ciascuna stata indipendente e separata tanti secoli, ebbe leggi, guerre, trionfi ed arti sue. Uccidere coteste persone sociali, per farne una mole mostruosa di parti eterogenee e discordi, è ruina appunto della sua grandezza. L'Italia che vide tanti secoli i suoi figli accoltellarsi, bianchi o neri, guelfi o ghibellini, gelosi I'un dell' altro, diversi di razze e d'interessi, diventar una! La fittizia e sforzata unità farebbela schiava d'una fazione, e però cento fiate più debole e infelice; sarebbe risuscitare guelfi e ghibellini, veleni e pugnali, ferali conviti e crudi esilii, nefandi sacchi, e arsioni atrocissime di città e di campagne. E già si sono risuscitati.
Ma eravam noi 'sì bassi da meritar con tali ruine la redenzione? I mali del medio evo già l'età civile leniva; scomparse le furiose e turbolenti republichette, la comune patria ridotta in pochi principati, gloriosa per arti, paga per mitezza di leggi, maestra di sapienza, prosperosa di commercio, ricca, lieta, pacifica, l'Italia era fra le nazioni venerata e rispettata. Era ancora regina delle genti, non con arme mortifere, ma con l'impero dell'eterno vero e la parola di Dio. Il papato con le cattoliche braccia stringevala in un amplesso con l'unità della religione, e sollevava l'italiano pensiero su tutte le genti. La piena pace menava innanzi; le spente rivalità già ne affratellava i figli; e i telegrafi e le strade ferrate ne avvicinavan le regioni; i suoi tanti porti, le emulazioni de' governi, e la restituita feracità di sue terre ne moltiplicavan ricchezze. E chi nel buio futuro strapperà al Signore i segreti della sua Provvidenza? Chi dispererà della ventura grandezza di questa Italia creata a grandezza? Chi passando innanzi ai divini ordinamenti vorrà con ree arti divagarla dal sentiero ordinato da Dio? Chi con rivoluzioni la ferma a mezzo, anzi la respinge dal vero progredimento che preparala a sovrani destini? Le cospirazioni bruttano questa patria, e con empietà e misfatti la fan maledire. Progredendo col dritto si avanza nella civiltà: le rivolture sono rovesciamento di dritti, indietreggiamento e barbarie. L'Italia oggi non può esser una, se pur fosse buono e opportuno l'averla; rea cosa è il por mano a impossibili imprese; più reo farne reiterati esperimenti, con distruzioni e fiumi di sangue.
Ai napolitani l'unità è anche più ruinosa. Messi in punta al paese, divengono ultimi, dov'erano primi; retti a prefetture, con leggi forestiere da uomini ignoti, smunti, privi di re e di corte, costretti a correr lontano per giustizia, a pagare i debiti altrui, a tasse non più viste, e a dare i loro figli in esercito alieno, per guerre aliene, per compressione di loro stessi. Napoli scancellar la sua storia, ubbidire ad altri, abolire il suo trono, rovesciar la sua prosperità, nuotare nelle guerre civili e dinastiche, dilaniarsi, impoverirsi, rinnegar la patria e la fede? Per Napoli l'unità italiana è suicidio: però i settarii napolitani, cento volte più rei de' loro confratelli, lasceranno nome esecrando alla posterità.
Ma l'Italia, siccome la Polonia, la Germania e la Grecia sono pretesti alle sette. Movono del pari Francia e Spagna state sempre une. Ma là e qua, con queste ed altre lustre, vogliono abbattere la potestà umana e divina. Questo fine è il dogma de' loro comuni catechismi. Però come possono addentano la proprietà, percuotono il clero, e combattono il Papa, ch'è grandezza italiana e mondiale. Il loro anti-papa è il Grande Oriente de' massoni; vogliono la rivoluzione delle idee, della morale e delle leggi; e per farla non vogliono religione. Qua, perché Italia ha più stati, gridano Italia una; se fosse una griderebbero Italia divisa. E perché il popolo li respinge, e li fa impotenti a ogni conato, eglino, mentre sclamano fuori lo straniero, chiamano gli stranieri a far cotesta loro Italia.
Costoro per amor di setta bene sperano in Francia e Inghilterra, male se per amor di patria; perocché l'Italia non ha nemici naturali più terribili di queste due nazioni. Intendo la Francia del 1789 e l'Inghilterra d'Errico 8°, sendo le patrie degli Stuardi e di Carlo Magno ricche di generosi cuori propugnatori di virtù. Ma i volteriani e i protestanti, messo ogni bene nell'utilità materiale, sono logici nemici di quell'Italia che sopra la materia mette il giusto».

Quanto precede è tratto dalla già altrove citata Storia delle due Sicilie dal 1847 al 1861, di G. de' Sivo. Nel nostro piccolo, pensiamo solo all'inflazione di troppe unità raccogliticce: UK, USA, UE e nazioni unite varie. Meno male che l'URSS è defunta.