"La dizione della esse è un problema | e non sempre l'addizione dell'acca | ne è la soluzione". Così il poeta esemplifica una delle tante difficoltà derivanti dai tentativi di a) pronunciare correttamente un testo scritto in italiano e b) traslitterare comprensibilmente un testo scritto in caratteri diversi da quelli latini.
Per giunta, traslitterare comprensibilmente spesso equivale a traslitterare non irreprensibilmente, almeno secondo i dettami della moda imperante. Quando chi scrive era più verde, ad esempio, si usavano grafie - che oggi farebbero inorridire - quali Chuang Tze, Dostojevski e simili. Ma nella stessa Wikipedia, della quale ci serviamo spesso e volentieri come base d'intesa comune, la pagina in italiano reca Dostoevskij e quella in inglese Dostoyevsky (sometimes transliterated Dostoevsky). Analogamente, in quella italiana Chuang Tze si trova trasformato in “Zhuāngzǐ (caratteri tradizionali: 莊子, caratteri semplificati: 庄子, in Wade-Giles Chuang-tzu; in lingua giapponese Sōshi; in lingua coreana 장자 Changja o Jangja; in lingua vietnamita Trang tử)”. Aspettando la prossima rivoluzione in materia, per ora limitiamoci alla pronuncia della s in un testo scritto in italiano.
Definita «sibilante dentale»,* il che sembra abbastanza ragionevole, tale consonante si divide in sorda (o aspra) e sonora (o dolce), il che, raddoppiando inutilmente i due corni dell'alternativa,** è già meno ragionevole. Comunque sia, la s sorda si sente (o, meglio, si fa sentire) un po’ meno di quella sonora: per la prima, si pensi al caso classico in cui sia seguita da una consonante anch’essa sorda (come in scala, sfera, spola, squadra, storta, ecc.); per la seconda, seguita da una consonante anch’essa sonora (come in sbarco, sdegno, sgarbo, slitta, smania, ecc.).
Fin qui, per quanto riguarda la pronuncia. Circa la grafia, superato lo sconforto iniziale, se proprio si vogliono distinguere le due s e se non ci si vuole servire di /s/ per la sorda e di /z/ per la sonora, si può trascrivere s la prima e ş (all’uso slavo) la seconda.


* Così, quando non «fricativa alveolare sorda» o addirittura «laterale fricativa alveolare sorda» (in quest'ultimo caso, presente solo in sardo, sembra). In sordina, aggiungiamo che potrebbero darsi suggestive variazioni anatomiche quali ‘polmonare’, ‘nasale’, ‘labiale’ e ‘bilabiale’, ‘faringea’, ‘glottidale’ ed ‘epiglottidale’, nonché - mancando per fortuna 'vulvare' - ‘uvulare’.

** Quel che sfugge, infatti, è sia il nesso tra ‘sorda’ e ‘aspra’, come quello tra ‘sonora’ e ‘dolce’, che l’opposizione tra ‘sorda’ (aggettivo legato alla ricezione auditiva) e ‘sonora’ (aggettivo legato alla trasmissione vocale), come quella tra ‘aspra’ e ‘dolce’. Sarebbe stato più corretto, ponendosi dal punto di ascolto del ricevente, contrapporre 'sorda', ovvero 'ipoacusica', ad 'iperacusica'; oppure, dal punto fonico dell'emittente, contrapporre 'sonora', se non proprio a 'muta', almeno a 'flebile'. Lo stesso criterio avrebbe dovuto valere in materia di gusto, perché al dolce si oppone non solo l'aspro, ma anche il salato, il piccante, l'amaro e - nella misura in cui l'acre e l'aspro pertengono all'acerbo dell'immatura, o prematura, giovinezza - l'acido della vecchiaia.

Il guaio consiste nella cittadinanza italiana (stilnovista, normanna, araba, as you like, ma non tosca), di una terza s, cioè quella espressa dal binomio inglese sh e francese ch. Per intenderci, sc + e/i (come in scena e sci), s "reboante" che in napoletano sostituisce quasi sempre quella sonora e spesso quella sorda. A questo proposito, per rifarci alla terzina iniziale, val la pena di evidenziare come la trascrizione più usata, sh, equivalga esattamente a ś, š e ŝ, coniate al solo scopo di complicarci la vita.