Proponiamo oggi un brano di G. de' Sivo (dalla Storia delle due Sicilie dal 1847 al 1861). È utile per capire come la sovversione moderna si sia sempre servita della parte peggiore della società, per stravolgere il passato.
Dobbiamo quanto segue sia agli eBooks di Google che al sito Neoborbonici (il cui frontespizio dichiara che «potevamo definirci neogreci, neoaragonesi, ma ci siamo definiti neoborbonici perché con i Borbone, per l'ultima volta, i meridionali sono stati un popolo amato, rispettato e temuto in tutto il mondo»). Circa gli oggi cosiddetti «malavitosi» di cui trattasi qui sotto, va detto che una certa grandezza, per quanto fosca, quelli di ieri almeno ce l'avevano.


"Incontinente va in istrada bieca turba, sozza, proterva; un vociferare sinistro, minaccioso, foriero di subiti guai; ecco la più vile gente del mondo, alleata del Garibaldi e di Vittorio, cominciare la serie lunga di assassinii impuniti, di rapine premiate, d’immoralità e irreligione caudate e pagate; principia il regno de' camorristi. La sommossa di Masaniello dissesì «de' lazzari», perché fecerla gente semi-nuda, come Lazzaro uscente di sepolcro; la rivoltura del '60 si dirà «de' camorristi», perché da questi goduta. Nel reame eran da antico camorristi, sì detti da «camorra», in ispagnuolo querela (o forse dal gioco della morra, dove usano soprusi). Tai bravacci s’allargarono nelle carceri e nelle caserme soldatesche, riscotenti premii da paura altrui; poi nelle strade, in bettole, bische, postribuli, mercati, dovunque possono speculare sul coltello. Cavano moneta da’ carcerati, da' giocatori, da’ mercanti, da’ contratti d’ogni sorta. Vestono giacca di velluto, calzoni stretti a’ ginocchi e larghi a pie', canna d’India in mano, anelli alle dita, capelli lisciati, coltelli in tasca. Per similitudine diciam «camorristi» i giocatori ladri, gli storcileggi, i sicari, i vagabondi, e qualunque non fatica e vive di brogli. Camorrista è un composto di ladro, galeotto, pugnalatore, usuraio, contrabandiero e proletario. Sono setta antica, che credesi venuta con gli spagnoli; hanno statuti con certi articoli in apparenza onesti: per essere ammesso devi essere onorato, non stato mai ladro, né gendarme, né poliziotto, né congiunto a meretrici. Ammesso, devi ubbidire cieco a’ superiori, e perpetrare furti, assassinii, e peggio. Prima nel noviziato imparano scherma di coltelli e un linguaggio furbesco; passano avanti per esami, che son duelli a pugnali, e vanno al grado di sgarra; poi a contaruolo, forse perché conta l’arme ch’ha in deposito, il cui numero dicono «pianta». Per essere capo-società debbono accoltellarsi contro dodici, e ferirne almeno tre; né mai rifiutare sfide. A rubare si dividono le parti: chi fa chiavi false, chi il borsaiolo, chi il rapinatore, chi il manutengolo; e chi non sa meglio fa il palo cioè la spia, per ispiar da rubare, e avvisare d’ogni pericolo gli operatori. L’insubordinazione puniscono con isfregi al volto; appellano «infame» chiunque in giudizio fa testimonianze contro di loro, e si vendicano. Sono aiutati da loro donne in tutto, massime nelle esazioni; sicchè anche nelle carceri han la parte de' guadagni, e ‘l sostentamento. Il popolo minuto sopporta codesta tirannia abbietta, e paga senza fiatare; anzi ne’ giudizi non trovi chi si quereli, né chi testimoni contro di loro. Oltracciò i camorristi, paghi del tributo, proteggono talvolta il fievole contro il forte, e fanno i pacieri. Eran molti, e qua e di là del faro; e come era loro istituzione il non impicciarsi di politica, eglino nel '48 s’erano valuti de’torbidi, ma poco sul finire vi s’eran mescolati. Il governo e prima e dopo tentò d’estirpare questo flagello della società civile; li reprimeva, puniva, tenevanli in carceri e al confine, e sia sopra isole li relegava; ma trovavano protezione in altri camorristi vestiti alla borghese, che di più grossi mercedi facevan mercato, e in chi preparavano la camorra in grande, per divorare con la rivoluzione le ricchezze dello Stato. Costoro col pretesto di liberare la patria, valendosi delle persecuzioni della polizia contro quelli, di leggieri li tirarono a sé; e già da più agio e men rumore. Venuto a questi ultimi anni l’Aiossa a direttore di polizia, visto non valere legalità, trovati documenti della setta, ne agguantò più centinaia e li sparti per l’isole. I faziosi ch’avevano eglino stessi saputo indurre il direttore a quel passo, subito gridarono all’illegalità; i giornali torinesi vomitavano insulti; e da questo trassero opportunità per meglio stringersi la camorra".


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Ci spiace per Torino. Si deve però ammettere che la modernità è penetrata in Italia attraverso i savoiardi, che, non paghi dei finallora inauditi finanziamenti britannici, si impadronirono anche degli oculati risparmi borbonici. Chiudiamo questo articolo con altre due righe di de' Sivo, stavolta tratte da I napolitani al cospetto delle nazioni civili.
"L'operosa parsimonia governativa avea sempre modo da tenere in serbo un tesoro per ogni evento. Eranvi in cassa trentatré milioni di ducati, quando il liberatore Garibaldi vi mise su le mani, e li fe' disparire. [...] I rigeneratori torinesi, dopo tante sperticate promesse di tutto dare, tutto ne han tolto; e solo han potuto creare la miseria ed il nulla".