Giorni or sono, si accennava al re francese (le vercingétorix, secondo J. Michelet), sconfitto da Cesare nell'ormai lontano 52 a.C., chiedendocisi se classificarlo come patriota o come brigante. Al riguardo, rovesciate le parti, ai franco-sabaudi l'italo-borbonico G. de' Sivo domanda: "Briganti noi combattenti in casa nostra, difendendo i tetti paterni, e galantuomini voi venuti qui a depredar l’altrui? Il padrone di casa è brigante e non voi venuti a saccheggiare la casa?". Duemila anni dopo, sicché, la Francia rende all'Italia pan per focaccia.
Si dirà che la Savoia (anzi, per l'esattezza,* la Borgogna) non è la Francia, come Napoli non è Roma. Vero. Tuttavia, non essendo il nostro intento altro che quello di evidenziare la vicendevole specularità tra le vessazioni e le ruberie inflitte e quelle subìte, alle parole del De bello gallico di Cesare possiamo contrapporre quelle di Napoleone, che, nella lettera del 20 marzo 1806 indirizzata al fratello,** si dice «étonné que vous n'ayez pas fait fusiller les espions du roi de Naples». E consiglia di far condannare a morte i «lazzaroni» - in italiano, nell'originale - e di confiscare tutti i beni dei filo-borbonici. Infine, «s'il est vrai, comme les journaux le disent, que vous ayez fait arrêter ce misérable Castelcicala, envoyez-le à Fenestrelle sous bonne escorte et confisquez ses bijoux et ses biens», laddove la famigerata Fenestrelle (lager e tomba post-risorgimentale di migliaia di 'liberati' meridionali) illustra bene la continuità tra Napoleone e Vittorio Emanuele II.

* Sul casato dei Savoia la Wikipedia è molto esaustiva.

** Giuseppe Bonaparte, fratello maggiore di Napoleone e re di Napoli, artefice dell'abolizione della feudalità locale e conseguentemente - cosa su cui si usa tacere - dei cosiddetti «usi civici» (legnatico, fungatico, erbatico, pascolatico, ecc.), ovvero del diritto di ogni pezzente sia di far legna che di cogliere funghi, cicoria e simili, nelle terre del barone.

Torniamo a Giacinto de' Sivo, al quale s'è dedicato anche il post sottostante (qui),* sottostante a questo, cioè, che la Wikipedia presenta solo negli aspetti del tragediografo e dello storico (oltre che del funzionario amministrativo, simile in ciò al suo contemporaneo Giuseppe Gioacchino Belli), ma la cui biografia, nel già citato sito Neoborbonici, mostra ben altre caratteristiche. Dalla sua Storia delle due Sicilie dal 1847 al 1861 trascriviamo di seguito - sempre grazie all'eBook di Google - qualche passo della Prefazione. Potrebbe servire a chiunque voglia arrischiarsi a parlare di politica recente, la stessa unità d'Italia ponendosi, lungo l'albero genealogico di ciascuno di noi, appena sei generazioni più su.

* Volevamo scrivere 'successivo', ma l'aggettivo non si confà al tempo verbale della frase. È lo stesso problema che si pone con l'uso dei participii 'seguente' (nello spazio [di una pagina web contenente più d'un post]) e 'precedente' (nel tempo), la stessa incongruenza del suddetto «albero genealogico» che, se tale fosse davvero, sarebbe a) rovesciato, cioè col tronco - il capostipite - in alto e i rami in basso e b) senza radici.

«L'antica [storiografia] poco si discostava da' fatti d'un popolo, dove oggi i fatti s'intrecciano e diramano in tutto il mondo, sicchè devi toccarli tutti. Più semplice era il governamento antico: meno leggi, minor commercio, non torchii, non telegrafi, non vapore, non eserciti stabili, eran uomini men verbosi, meno infinti, parlavan per manifestare, non per ascondere il pensiero; oggi le vertenze internazionali per numero, per tenebre di dispacci, per bugie premeditate di giornali, per insidie cavillose di ministri e parlamenti, son dure a discifrarle, a confrontarle co' fatti, a smascherarle; oggi l'analisi opprime la sintesi, e lo scrittore con molto più fatica fa opera d'arte men bella che gli antichi.
[...] Oggi a spiacere a' potenti è più periglio che prima; perchè i potenti da temere non son già i reggitori legittimi degli stati, i quali non sogliono percuoter forte, e loro punizioni portan sovente certa celebrità che non ispiace a chi fa libri. Chi scrive male de' re legittimi trova celebratori, ed è messo in cielo, guadagna amici, lucri, soldi; ma guai a chi deve disapprovare cotesti Bruti nuovi, cicalatori di libertà; tosto è diffamato, proclamato matto o asino, gli si serra l'avvenire, sottostà a multe, a prigionie, ad esilii, nè di rado a pugnali e veleni. I legittimi re poco apprezzan gli scrittori, poco premiano, spesso li dimenticano; gl'illegittimi alzan gli scrittori a prefetti, a ministri, a dittatori. Laonde vedi numerose falangi di libelli contro i regnanti nati, che se tutti non son Titi, neppur son Neroni, e te li pingon mostri e tiranni; ma questo offenderli per dritto e per torto, quel dirne false lordure e velenose, non è già risicoso coraggio, ma codardia impunita, voglia di subiti guadagni, facili rinomanze e pronte salite. Parecchie storie uscite a questi anni fur dettate a tal fine; e furono congiure, non solo contro il vero, ma contro gli stati. Narrando il passato a rovescio, congiuravano a rovesciar l'avvenire. Han dentro un veleno ch'adultera ogni fatto; il vero s'è ostile allo scopo, taciono o smozzano, se giova allungano e incorniciano. Talvolta lodano il buono, ma con isforzo, e vi gittan di sbieco astiosa bava; talvolta condannano il male, ma con iscusanze speciose; negli onesti notan difetti, ne' malvagi innestano idee alte; e da ogni caso buono o malo cavano argomenti all'idea preconcetta. Scrittori sono artifiziosi per ingannar l'avvenire, e far coperchio al presente; han l'assunto di gloriare ogni reo fatto con isplendide parole. Quindi odi uccisioni scusate per necessità, incendii lodati per virilità di comando, fucilazioni a migliaia dette salvatrici della società, insidiosi consiglii appellati sapienti , assassinii e regicidii alzati ad eroismi; poi aspirazioni di popoli le usurpazioni, fonti di ricchezze gli enormi balzelli, civiltà progrediente gl'immorali costumi, purezza di cristianesimo il negar Cristo e percuoter la Chiesa. Così storta la verità, e il vizio in nugoli di laudazioni, il leggitore si trova immerso in un mondo ch'è negazione d'ogni idea buona ch'avea da bambino succhiata col latte. Ma, la Dio mercè, mai non si giunge a ingannar pienamente la posterità. Lo scrittore di cuor vendereccio, vigliacco o vendicativo non fa opera duratura; sempre il tempo diseppellisce gl'inganni, snuda gl'imbellettati vizii, e finisce col dar giudizio giusto. A che dunque i tristi van comprando celebrazioni ipocrite di poca vita? A che ammantar di porpora l'infamia? A che lo storico vitupererà la sua penna a pro di caduchi oppressori? Meglio perigliar pel vero eterno, che fruir corte onoranze per menzogne».

Il de' Sivo è stato citato anche qui.